Storie di calciomercato, l'estate del 1997: la splendida irruzione di Ronaldo all'Inter
C'era un tempo in cui la Serie A era l'Eldorado del calcio mondiale. In quell'epoca gli attuali Mbappé e Haaland avrebbero fatto di tutto per venire a giocare nello Stivale, visto il prestigio del campionato nostrano. Lo dimostra il fatto che nell'estate del 1997 un tal Luis Nazario de Lima, meglio conosciuto come Ronaldo, passava dal Barcellona all'Inter.
La cifra, in quel momento record, fu di 52 miliardi delle vecchie lire, quantità minima necessaria perché apposta nella clausola rescissoria, una prassi tra le società spagnole. Primo grande vizio del presidente Massimo Moratti, il Fenomeno approdò in Italia con una fama enorme da mantenere al top viste le grandi cose fatte al Barcellona, dove aveva realizzato 34 reti in 37 incontri. E non deluse. Dotato di una tecnica individuale eccelsa e di una potenza e una velocità fuori dal comune, ci mise 90 minuti ad ambientarsi all'allora difficilissimo calcio italiano fatto di difese ferree.
Al di là degli infortuni
La sua irruzione nel campionato italiano fu come quella di un asteroide tra le costellazioni. La sua luce fu la più brillante in assoluto fin quasi da subito: perché l'esordio contro il Brescia lo vide ancora ovattato - a prendere la scena fu Alvaro Recoba, altro pallino del presidente, - nella seconda giornata a Bologna diede già dimostrazione della sua enorme classe con un gol che seguiva un dribbling fulminante spalle alla porta. Da quel momento in poi il suo talento esplose del tutto e i suoi 25 gol in 32 incontri furono migliorati solo da Oliver Bierfhoff, che ne segnò due in più.
Quell'anno l'Inter si avvicinò moltissimo allo Scudetto, vinto poi dalla Juventus dopo la clamorosa e celeberrima partita di Torino nella quale non venne concesso un rigore proprio per un fallo sul brasiliano da parte di Mark Iuliano. E se rimase in gioco fino ad aprile fu proprio grazie al brasiliano, che dopo la sua prima stagione in nerazzurro iniziò a venir perseguitato dalla sfortuna. Prima l'episodio ancora misterioso della finale dei Mondiali, quando fu vittima di un attacco epilettico poco ore prima di scendere in campo, e poi una serie di infortuni gravissimi che ne limitarono il rendimento.
L'estate dopo il suo arrivo, tuttavia, all'apice della forma trascinò i nerazzurri alla vittoria della Coppa Uefa contro la Lazio, dove segnò il terzo gol dopo una performance da 10, che era anche il numero che portava sulle spalle. Con l'Inter non avrebbe vinto più niente, tra un infortunio e l'altro, diventando anche la triste immagine dello Scudetto perso il 5 maggio 2002, quando scoppiò in lacrime a Roma. Poi, la rivincita al Mondiale di Corea e Giappone. Da capocannoniere.
La rivincita di Roberto Baggio
Il più grande genio del calcio italiano, quel Roberto Baggio che a Torino e a Milano aveva sentito troppo spesso i freni degli allenatori, ai quali si era aggiunto anche Arrigo Sacchi in nazionale, cercò quell'estate la rivincita in provincia. E proprio per scappare dall'ex tecnico della Nazionale, tornato in quel Milan dove il Divin Codino cercava una seconda giovinezza dopo la tappa alla Juventus, il campione veneto prese la via di Bologna.
Anche lì, nonostante tutto, ebbe a che fare con un allenatore che lo vedeva come un giocatore normale e non come il fenomeno che era. Renzo Ulivieri, che in alcune occasioni lo mise persino in panchina, ne limitò in qualche modo il minutaggio, ma non riuscì a fermare il suo talento. E a 30 anni Baggio si prese la scena giocando come mai aveva fatto, neanche quando era nel pieno delle sue forze. Perché quel Bologna ruotava intorno a lui, come i pianeti attorno al Sole.
22 gol in 30 partite lo fecero arrivare al terzo posto della classifica marcatori dietro Bierhoff e Ronaldo, e lo riportarono nel giro della nazionale, con la quale avrebbe partecipato ai Mondiali di Francia 1998. La sua rivincita era stata presa, e subito dopo arrivò la chiamata dell'Inter, che voleva farlo giocare proprio insieme al Fenomeno. Ma questa è un'altra storia
Brasiliani di fuoco
Oltre a Ronaldo, quell'anno ci furono altri due illustri brasiliani a riempire le pagine di calciomercato. Il primo fu un gran colpo dell'allora presidente della Roma Franco Sensi, che non badò a spese per offrire alla sua squadra il terzino destro Cafú, pagato 15 miliardi di lire. Una cifra importantissima per una squadra che allora veniva da un mediocre e triste 12esimo posto.
Proveniente dal Palmeiras, Cafú avrebbe fatto subito breccia nel cuore dei tifosi giallorossi, diventando un perno della squadra che poi avrebbe vinto il mitico terzo Scudetto nella stagione 2000-01, oltre a passare alla storia per un triplo sombrero a Pavel Nedved in un derby romano. Con la squadra capitolina avrebbe poi conquistato anche una Supercoppa Italiana, sempre dopo il tricolore, e rafforzato la sua posizione in nazionale, prima di passare al Milan nell'estate del 2003.
Un altro brasiliano che fece parlare di sé quell'estate fu Rivaldo, passato dal Deportivo al Barcellona per una cifra intorno ai 4 miliardi di pesetas, qualcosa che oggi corrisponderebbe a 24 milioni di euro. Il tutto all'ultima giornata di quel mercato, che quell'anno scadeva il 15 agosto. Un botto di Ferragosto vero e proprio quello del mancino paulista, il quale in blaugrana avrebbe vinto due campionati di Spagna e avrebbe preso la spinta nell'ultima stagione per trionfare da protagonista ai Mondiali del 2002 con la nazionale del Brasile, della quale il capitano era proprio Cafú.