Mondiali donne: la rivoluzione del calcio femminile passa da qui
“Fino a due anni fa le nostre divise erano quelle della squadra maschile, ma di due anni prima”. Queste le parole di Marta Unzué, che da capitano del Barcellona femminile nel 2016 ‘denunciava’ la disparità di trattamento in uno dei club calcistici più importanti del mondo e che ha da poco vinto la Champions League di categoria, confermando come il grande cambio abbia finalmente attecchito.
Da quasi dieci anni, tuttavia, in Spagna è iniziata la rivoluzione del calcio ‘in rosa’, con una sempre maggiore attenzione alle esigenze delle calciatrici, il cui salario ancora non è arrivato a raggiungere quello degli uomini ma che oggi hanno attrezzature, sponsorizzazioni e, soprattutto, maglie proprie e all’avanguardia. E così sta accadendo in tutto il mondo.
Il ruolo della Fifpro
A livello mondiale, il movimento della Fifpro è stato fondamentale per sensibilizzare e promuovere un miglioramento globale delle condizioni di lavoro delle calciatrici, che a parte le realtà del Nord Europa, del Giappone e del Nord America hanno visto effettuate grandi conquiste solo nell'ultimo decennio.
Il direttore della ricerca sul calcio femminile alla Fifpro, l'inglese Alex Culvin, ha più volte confermato che l'obiettivo dell'organizzazione è quello di aumentare i salari minimi delle calciatrici in tutto il mondo, specialmente in Sudamerica e in Africa. Alla base di ogni rivoluzione, dunque, serve anche una forza motrice politica che permetta di comprendere come le cose possano cambiare in modo effettivo e radicale.
Investimenti
La cilena Camila Garcia, membro del consiglio di amministrazione della Fifpro, ha indicato che la maggior parte dei tornei di qualificazione ai Mondiali sono solitamente organizzati dalle confederazioni e non dalla FIFA, motivo per cui in molti casi le ricompense economiche per i paesi tendono a essere minime.
“Se guardiamo agli incentivi in regione, il calcio femminile ha meno tornei. I premi sono molto bassi, qualcosa come l'uno per cento rispetto alle gare maschili. Se miglioriamo questi supporti, possono diventare aiuti retroattivi. La verità è che il calcio femminile richiede un investimento importante ed è proprio quello che è mancato oggi", ha esclamato.
Tutto, dunque, parte dal basso. Ed è la lotta di Megan Rapinoe e di tutte le altre paladine del calcio femminile, adesso una tendenza mondiale che cerca la sua conferma definitiva in due paesi dove lo sport principale è il rugby. Quasi come a voler sfidare la storia, un po' come fatto dal calcio maschile in Sudafrica nel 2010.
Equal pay
L'esempio più importante, per quanto riguarda l'avvicinamento dei compensi tra il mondo femminile e quello maschile viene da Inghilterra, Irlanda, Norvegia e Stati Uniti, dove si sono raggiunti accordi di massima relativi al miglioramento delle retribuzioni. Stesso discorso in Spagna, dove il presidente della federazione iberica Luis Rubiales ha annunciato che giocatori e calciatrici riceveranno la stessa retribuzione per rappresentare il loro paese.
In Spagna, inoltre, si è arrivati a un accordo anche sugli sponsor, come ha ribadito lo stesso Rubiales: "Tutti i giocatori riceveranno anche una percentuale sui contratti di sponsorizzazione". Un'intesa completa della quale ha parlato anche la presidentessa del sindacato di FUTPRO, Amanda Gutierrez, che ha rappresentato le giocatrici nelle trattative e ha definito quella dell'accordo come una "giornata storica".
USA e Norvegia pioniere
Nel paese scandinavo nel 2017 è stata introdotta la parità di retribuzione e premi in denaro, una misura mai vista prima, nemmeno negli Stati Uniti, dove il calcio femminile è più importante di quello maschile. La Federcalcio norvegese ha sostenuto che il valore delle prestazioni di una squadra non dipende dalla domanda, ma dall'allenamento e dal tempo che gli atleti investono nel loro sport, nonché dalle loro performance. Una questione culturale, dunque, quella di mettere solide basi economiche e strutturali.
Anche la squadra nazionale di calcio femminile degli Stati Uniti ha lottato per la parità salariale per molti anni. Il divario retributivo negli Stati Uniti era persino maggiore che in Europa, nonostante, appunto, la rappresentativa femminile generasse più entrate rispetto a quella maschile.
Qualcosa, però, deve ancora cambiare, visto che la vittoria del Mondiale femminile del 2015 ha supposto un premio di due milioni di dollari per giocatrice, mentre l'undicesimo posto della nazionale maschile ai Mondiali del 2014 ha generato una vincita di nove milioni, quasi il quintuplo della cifra.
Impatto sociale
Storicamente ignorate, oggi le calciatrici hanno vinto la loro battaglia riguardo la loro identità. “Non solo esisto, ma ci sono e sono qui. È stata una vittoria identitaria, costitutiva” dice Ayelén Pujol, giornalista argentina specializzata in calcio femminile, che continua prendendo in mano l'orgoglio delle calciatrici: “Oggi le ragazze possono sentire orgoglio al momento di voler essere calciatrici. È qualcosa che prima non accadeva, ed è la conquista più importante di tutte".
Essendo il calcio un business globale, la differenza tra l'emisfero boreale e quello australe (fatta eccezione per Australia e Nuova Zelanda) è però ancora troppo grande. Questione, ovviamente, di investimenti. L'impatto social del Mondiale che sta per iniziare, tuttavia, potrebbe essere definitivo nel proporre un modello di sviluppo crescente. Dopo i passi in avanti del professionismo, adesso tocca agli investimenti, che rappresentano il principale propellente di ogni realtà che prova ad andare avanti.