Pubblicità
Pubblicità
Pubblicità
Di più

Il volo eterno di LeBron James, da predestinato a straordinario recordman di punti

Antonio Moschella
LeBron James
LeBron JamesAFP
Superato il mito Kareem Abdul-Jabbar in meno di vent'anni di carriera. L'ennesimo successo di un predestinato che difficilmente avrà un erede che potrà fargli ombra.

I primi filmati che lo videro protagonista erano talmente pixelati e sgranati che anche in digitale sembrava di sentire il rumore della pellicola che si consumava a fine registrazione. Era il periodo a cavallo tra il vecchio e il nuovo millennio, e di pari passo con le moderne tecnologie di ripresa correva anche LeBron James, parallelo alle telecamere, più o meno grandi, che ne immortalavano le prime scorribande e lo designavano come "The Chosen One". 

Nei primi anni 2000, migliaia di quei filmati quasi amatoriali sarebbero stati ripresi da vari media mondiali, i quali tracciarono il ritratto anticipato di un cestista il cui talento e la cui potenza rappresentavano una spinta unica per un futuro da campione. 19 anni e mezzo dopo il suo debutto ufficiale in NBA con il per nulla casuale numero 23 dei Cleveland Cavaliers, LeBron James ha sublimato le aspettative infrangendo il record di punti della NBA. Un record che spettava a un mito vivente e iconico come Kareem Abdul-Jabbar, il primo a rendere grandi i Los Angeles Lakers con i quali gioca adesso lo stesso LeBron, fermando il suo conto personale a 38,387 punti.

In quella che probabilmente è una delle peggiori stagioni in quanto a risultati per una squadra del nativo di Akron, tagliare un traguardo a livello individuale rappresenta l'unica notizia positiva per un campione che con ogni probabilità resterà fuori dalla fase playoff. E rappresenta anche la conferma dell'unicità di James.

Oltre il cielo

LeBron James e Kareem Abdul Jabbar
LeBron James e Kareem Abdul JabbarAFP

Sebbene i numeri lascino il tempo che trovano, essere diventato il miglior marcatore di sempre è un attestato assoluto e definitivo per LeBron, un sognatore in grado di volare che ha sempre messo il successo davanti a tutto. "Credo che sia uno dei più grandi record dello sport in generale, come quello del numero di home run nel baseball. Uno di quei record che hai sempre pensato che non avresti mai visto o pensato che qualcuno potesse batterlo". Lo aveva detto quando mancavano ancora 63 punti per toccare il cielo raggiunto da Kareem con il suo celebre gancio che faceva omaggio proprio alla volta celeste. Adesso il cielo lui lo ha squarciato. Quel predestinato capace di adornare d'oro l'anulare per la prima volta a 27 anni, relativamente tardi, quando nella primavera del 2012 vinse il primo titolo di sempre con i Miami Heat

Un campione forgiato nel fuoco della sconfitta, dalla quale ha saputo venir fuori per migliorarsi costantemente, risultando un giocatore determinante per quasi vent'anni. Una pazzia per uno sport logorante come il basket, specialmente per come lo ha interpretato lui. A volte molla. A volte martello. A volte sarto. A volte fabbro. Sempre con il massimo coinvolgimento e senza lesinare sforzi. Sudando più di ogni altro. E gridando forte, sempre. Anche a costo di sembrare arrogante. Arrogante come chi se lo può permettere.

In grado di saltare in alto con una potenza invidiabile, mantenendo sempre il controllo della palla. Questi è LeBron James, che ha saltato più in alto di tutti per l'eternità. Perché come lui non ce ne saranno più. 

Un anello per zittirli

LeBron James
LeBron James AFP

Capace di trascinare praticamente da solo i Cavs alle Finals del 2007, poi perse contro una corazzata come i San Antonio Spurs, il prescelto che aveva rubato la scena a tutti dovette confrontarsi sempre con un'infinita marea di detrattori, molti dei quali lo esautoravano della sua aura magica perché incapace di vincere un titolo. 

Il ritorno a casa, da Re, era qualcosa che LeBron sentiva nelle vene. Nato ad Akron, a 50 km da Cleveland, lui che aveva reso grandi i Cavs plasmando dal nulla una squadra capace di lottare per il titolo con appena 23 anni d'età rientrava alla base non più come il cucciolo prediletto bensì come il predatore ormai consolidato e affamato. La consacrazione a casa sua era un debito che aveva con sé stesso e con i suoi concittadini, alcuni dei quali bruciarono adirati la sua maglia al momento di lasciare l'Ohio per la Florida, in quella torrida estate 2010 nella quale annunciò tramite un forse troppo enfatico show la decisione di firmare per i Miami Heat, con i quali avrebbe vinto due titoli grazie anche all'apporto di Dwayne Wade e Chris Bosh.

Il bramatissimo trionfo nella sua amata Cleveland arrivò nella primavera del 2016, quando da solo provocò il moto di rivoluzione di una serie che nella quale Golden State era avanti di 3-1. Mai prima di allora nessuna squadra aveva sovvertito una serie delle Finals in quello stato. E lui ci riuscì, usando la leva della vendetta contro chi l'anno prima lo aveva privato del grido di gioia con la maglia del suo cuore. Due stoppate d'antologia, l'ultima della quale nello spasmodico finale di gara 7, ne dipinsero l'assoluta abnegazione, ancor più dei tanti punti realizzati.

L'urlo "Cleveland, this is for you" alla fine di una singhiozzante intervista a caldo dopo la vittoria fu l'arrivo di un lungo viaggio, per conquistare l'anello definitivo. Per zittire tutti i suoi antagonisti, specialmente in sala stampa.

Jordan 2.0

Fin dal primo momento, il paragone con Michael Jordan è stato usato e logorato. Uno strapotere fisico allucinante, la deliziosa tecnica individuale e lo spiccato egoismo lo rendevano molto simile a colui che per molti è stato il più grande di tutti. Il numero 23 che già usava al College lo aveva già inserito nel fangoso tunnel del paragone, ma è stato lui poi a percorrerlo per intero, riuscendo a far entrare nell'opinione pubblica il dubbio su chi fosse davvero il più grande fra i due. 

 

MVP di tutte le finali che ha vinto, a riprova del suo status di leader assoluto, di leader che ha sempre voluto "controllare il mio proprio destino". Come a dire, a me nessuno ha regalato niente. Anzi. Con addosso una pressione smisurata fin dal primo momento, James non rivaleggia con Jordan nei titoli, bensì nella longevità della sua grandezza. Un discorso simile nel calcio può essere ripreso dall'eterno accostamento tra Diego Armando Maradona e Lionel Messi. Il primo più romantico, carismatico ed epico. Il secondo più robotico, preciso, duraturo.

Unico

LeBron è stato unico sia perché è voluto rientrare alla base per vincere un titolo che solo lì avrebbe potuto assaporare con l'amore e la poesia dei vecchi romantici. Romantici alla Francesco Totti, che ha fatto di tutto per vincere uno Scudetto con la sua Roma. Ma James è stato unico anche per il suo modo di giocare. Il solo esempio di cestista in grado di ricoprire praticamente tutte le posizioni, facendo leva sul talento naturale quando giocava da play e sulla sua solidità fisica quando si mascherava da pivot, posizione dalla quale non è mai partito ma nella quale la sua intelligenza e il suo fisico gli avrebbero permesso di disimpegnarsi.

Oggi che le tecnologie di ripresa e registrazione ci regalano la massima definizione, i video che lo ritraggono forse sono meno romantici ed eccessivamente dettagliati, le pellicole sfilacciate e ferrate sono un ricordo che il suo talento e i suoi successi hanno bruciato con la luce del campione. Di quel predestinato che sfida il passare del tempo che erode ogni cosa fino a riuscire a scolpire il proprio nome nel firmamento.