Il figlio di Dio ha detto basta: l'ultimo ballo di Zlatan Ibrahimovic
Ha dovuto abbandonare quasi come un comune mortale Zlatan Ibrahimovic. Lui che spesse volte si è definito addirittura un 'dio' del calcio. Lui che ha sempre vissuto la sua carriera e la sua vita con una simpatica baldanza. Un'arroganza sui generis propria del figlio di una Svezia multicolore, dove la sua sfrontatezza balcanica lo ha subito messo sopra gli altri.
Dopo una stagione nella quale ha disputato solo quattro partite per via di tanti infortuni, a 41 anni e mezzo Zlatan ha deciso di dire addio al calcio. Spossato e logorato nei muscoli e nelle articolazioni, uno dei fanciullini più scalmanati del calcio mondiale ha concluso un percorso strepitoso, che molti speravano potesse avvenire diversamente. Ma, anche lui, alla fine, si è rivelato umano.
Un'eredità unica
12 titoli nazionali, una Supercoppa con il Barcellona e un'Europa League con il Manchester United. Colui che in Italia ha vinto il titolo di capocannoniere con la maglia dell'Inter e quella del Milan, ha fatto parlare di sé non solo per i gol, diventata un'arte nella quale è stato tra i migliori interpreti in assoluto, ma anche per la sua esuberanza con e senza il pallone tra i piedi.
Arrivato in Italia nell'estate del 2004 dopo una rocambolesca trattativa tra Ajax e Juventus, Zlatan ci ha messo del tempo per capire come farsi apprezzare in Italia. Prima in bianconero e poi con la maglia dell'Inter ha sciorinato numeri di altissimo calcio, a volte misti a quel taekwondo che tanto amava da piccolo e che gli ha fornito un'elasticità particolare nell'esecuzione di colpi col pallone.
Un po' vagabondo un po'anarchico, lo svedese ha alternato momento di dominio assoluto a brevi sprazzi di follia nei quali il suo carattere l'ha in parte tradito. Alla fine, però, la sua eredità resta unica e solida. Perché nessun numero nove d'area di rigore è mai stato così tecnicamente dotato partendo da una stazza come la sua. Un corazziere con il polso fermo del cecchino. Questi è stato Zlatan.
Uno capace di governare ovunque sia andato, eccezion fatta per il Barcellona. Oltre che capace di ritornare protagonista in Italia nonostante un'avanzatissima età. Tra carisma e tecnica, un giocatore che valeva doppio e che ha permesso al Milan di vincere un insperato Scudetto nella stagione 2021-22.
Gol da cineteca
E sebbene, ripetiamo, i gol non siano stati la sua unica specialità, restano comunque un suo marchio di fabbrica. Perché la sua tecnica di tiro non è mai stata spontanea e figlia del talento bensì conseguenza di un durissimo lavoro. Dopo che Fabio Capello gli fece capire che avrebbe dovuto sviluppare questo fondamentale, il ragazzo cresciuto come giocoliere è diventato un terminale offensivo dominante e totalizzante.
Da catalizzatore del gioco per la sua spiccata visione di gioco Zlatan si è trasformato in un cannoniere di prim'ordine, alternando cosi i ruoli di bomber e rifinitore. E per lui non parla solo il numero di reti segnate quanto specialmente la qualità delle stesse. Una serie di esecuzioni da cineteca che hanno riempito la biblioteca virtuale più importante, ossia Youtube. Un compendio di realizzazioni composte da tecnica, forza e genialissime intuizioni.
Vicino a lui tutti sono migliorati, in testa e con i piedi. Ma quando doveva decidere le partite spesso lo faceva a modo suo, centrando il bersaglio con il giusto mix tra rabbia e precisione. Acrobazie, colpi di biliardo, frustate e fendenti il suo repertorio. Un repertorio da fenomeno eterno che ha detto stop solo perché il suo corpo non rispondeva più come prima.
La spina della Champions
Se proprio va trovata una macchia nella straordinaria traiettoria dello scandinavo dal cuore balcanico, questa ha i colori scurissimi e indelebili della Champions League. Partito da Milano nell'estate del 2009 per andarla a vincere a Barcellona, Zlatan ha visto prima come i suoi ex compagni lo eliminavano in semifinale e poi si proclamavano vincitori a Madrid proprio con una squadra costruita sul suo trasferimento.
Né a Milano né a Parigi, dove è stato un dominatore assoluto, Ibra ha mai trovato terreno fertile per riuscire a conquistare l'Europa, mentre al Camp Nou la scomoda orbita di Lionel Messi non gli ha permesso di essere l'astro più brillante, né tanto meno di affermarsi a livello collettivo.
Ora che lascia, l'idolo del popolo milanista sfoggia una piccolissima lacrima, propria di chi è sempre stato un duro e non vuole far trasparire i propri sentimenti. Enorme è invece la lacrima del calcio, che perde quello che forse è stato il personaggio più istrionico e caratteristico degli ultimi vent'anni.