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Derby della Mole, anatomia di due tifoserie: "Torino è granata", ne siamo proprio sicuri?

Raffaele R. Riverso
La Mole Antonelliana svetta su Torino
La Mole Antonelliana svetta su TorinoProfimedia
Se un tempo era verosimile affermare che il popolo granata fosse più numeroso di quello bianconero, la sensazione è che, oggi, sotto la Mole la situazione sia sensibilmente diversa rispetto agli anni in cui dal Sud arrivava la mano d'opera di cui la Fiat aveva bisogno.

Con più di otto milioni di tifosi dalla Val d'Aosta alla Sicilia, la Juventus rappresenta da sola un terzo dei 24 milioni di italiani che seguono con passione la Serie A. Questo al netto di chi - e non sono pochi - in tutta la penisola, pur facendo il tifo nelle serie minori per la squadra della propria città o provincia, non nasconde, realtivamente al massimo campionato, una certa simpatia per i colori bianconeri. A Torino, però, funziona in maniera diversa. O, quantomeno, questo è il messaggio che la sponda meno ricca e vincente (nel calcio, s'intende) del Po' è riuscita a veicolare nel corso degli anni: «Torino è granata».

Soltanto una cosa, però, possiamo dire con certezza, ossia che quello del capoluogo piemontese è, sotto l'aspetto numerico, il derby meno equilibrato d'Italia. La differenza, infatti, tra i tifosi delle due fazioni milanesi e delle due genovesi (rossoneri e nerazzurri sui Navigli, doriani e genoani sotto la Lanterna) è minima e fluttuante. Per quanto riguarda, invece, il numero di tifosi italiani delle due squadre della capitale, è la Roma ad assicurarsi tre appassionati su quattro. Uno scarto, quello a favore del club giallorosso, sicuramente importante, ma che nulla ha a che vedere con l'oceano che separa gli otto milioni di juventini dai 450 mila cuori granata.

Cuori granata
Cuori granataProfimedia

Ed è anche per questa ragione che non potendo vincere la guerra a livello nazionale, ai tifosi del Toro è sempre bastato vantarsi di detenere l'egemonia cittadina. Di certo, la stragrande maggioranza dei supporter granata vivono a Torino e in Piemonte, il che potrebbe davvero permettere di immaginare un'ipotetica supremazia granata sotto la Mole.

Tuttavia, è difficile, oggi, fare una netta separazione sociale o territoriale - così come si faceva negli Anni '40 ("i borghesi sono juventini e gli operai granata") e negli Anni '60 ("i torinesi tifano Torino, i terroni Juve") - tra i fan bianconeri e chi, invece, ha a cuore le sorti del Toro.

E così, se un tempo era verosimile affermare che il popolo granata fosse più numeroso di quello bianconero, la sensazione è che, oggi, sotto la Mole la situazione sia sensibilmente diversa rispetto agli anni in cui dal Sud arriva la mano d'opera di cui la Fiat aveva bisogno.

Questo non vuol dire che a Torino ci siano più tifosi juventini, ma non si può nemmeno affermare, almeno non con la certezza di un tempo, il contrario. Di certo si può delineare un profilo di massima partendo proprio da quelli che oramai - se presi tout court - sarebbero veri e propri stereotipi non più al passo con i tempi.

Fino alla fine
Fino alla fineAFP

Detto questo, è sicuramente vero che i figli della borghesia torinese ancora devota a quello che considera l'ultimo re d'Italia (Gianni Agnelli) e ai suoi discendenti continuino a preferire la Juventus. Anche e soprattutto per una questione di status che porta le persone più agiate a inclinarsi per il club torinese più vincente e famoso nel mondo. Ed è altrettanto vero che a ingrossare la tifoseria bianconera ci siano ancora i figli, i nipoti e i pronipoti degli emigrati meridionali.

Allo stesso modo, il popolo granata non si è mai affrancato della resilienza propria della classe operaia e, ancora oggi, stare dalla parte del Toro continua a voler dire avere a cuore le sorti del più debole sebbene, così come accadde ai tifosi del Milan quando irruppe Silvio Berlusconi, la simpatia tra le classi meno abbienti di Urbano Cairo è tutta da dimostrare.

Il tifoso bianconero, al netto delle vicende giudiziarie, è abituato a vincere facile e a godere di queste vittorie tutte le volte come fosse la prima. E già, perché ogni trofeo serve a confermare di essere sempre e comunque i più forti. Per il collega granata, invece, non c'è mai stato nulla di semplice e scontato. Men che meno un vittoria. Scegliere il Toro è sempre stato e continua a essere un vero e proprio atto di fede perché, per i granata, il derby è ancora oggi la partita più importante dell'anno. L'unico "titolo" a cui possono permettersi di aspirare fino a quando Cairo non deciderà di "cacciare i soldi" per davvero.