Carlo Mazzone, un rivoluzionario che ha vinto poco ma è stato amato tanto
Un record di panchine, ben 792, in Serie A. Eppure Carlo Mazzone, per tutti Carletto, sarà ricordato in eterno non per i numeri quanto per il suo contributo a livello folkloristico in un calcio che lui ha amato come pochi altri. Genuino, passionale e vicino alla gente, il compianto l'allenatore romano, ormai da 18 anni fuori dal giro, lascia un vuoto umano incolmabile.
La sua schiettezza lo ha reso un tecnico fuori dagli schemi, e in parte gli ha impedito di puntare a grandissimi palcoscenici. Salito alla ribalta all'Ascoli, dove dopo aver appeso le scarpe al chiodo è diventato idolo locale anche da allenatore portando i bianconeri dalla Serie C alla Serie A. Poi, un'intensa carriera per le più svariate province italiane, fino a raccogliere il tanto agognato premio della guida della Roma, la squadra per la quale aveva sempre fatto il tifo.
'Padre' di Totti e Baggio
Anche in panchina, Mazzone non aveva mai smesso i panni del tifoso, qualsiasi fosse la squadra che stava dirigendo. Nel suo percorso a Roma, tuttavia, oltre a due quinti posti ebbe la fortuna e il coraggio di poter puntare su un giovane di belle speranze che rispondeva al nome di Francesco Totti. La sua intuizione avrebbe cambiato per sempre la storia della Roma e sarebbe stata solo una delle prime nell'epoca del calcio moderno italiano.
Mai vincente ad alti livelli, il tecnico romano ha però sempre fatto sfoggio di una grande passione per i fenomeni, e dopo essere stato il 'padre' calcistico di Totti divenne, in quel di Brescia, il secondo padre di Roberto Baggio, un talento puro falcidiato dagli infortuni che aveva sempre vissuto aspri confronti con i suoi allenatori, dalla Juve al Bologna passando per Milan e Inter.
Con Mazzone, invece, il Divin Codino visse la sua ultima parte di carriera come una terza giovinezza, imponendosi come uno dei migliori giocatori del campionato nonostante l'età avanzata e i tanti acciacchi che lo accompagnavano da quasi vent'anni. Memorabile resterà nell'immagine di tutti, la sua corsa da invasato a Bergamo sotto la curva dei tifosi dell'Atalanta in seguito al pareggio, firmato proprio da Baggio, dopo che i supporter orobici lo avevano preso di mira. Un episodio sanguigno e spontaneo, tipico di uno che non le mandava mai a dire.
Svolta per Pirlo e Guardiola
E fu sempre a Brescia che Carletto mise a segno due dei suoi colpi più belli, di quelli che non si misurano con i numeri o con i titoli. Il primo fu quando spostò Andrea Pirlo da trequartista, ruolo nel quale il prescelto era Baggio, a regista, sfruttandone l'intelligenza e l'eccellente visione di gioco. Una mossa scaltrissima e che avrebbe cambiato in positivo la carriera del bresciano, che dopo l'apprendistato a casa sua si sarebbe trasformato in uno dei migliori registi di sempre al Milan, per poi diventare faro assoluto della nazionale campione del mondo 2006 e guida massima della Juventus che tornava alla riscossa dopo Calciopoli.
Con Pep Guardiola, invece, il colpo da maestro fu un altro: lo spagnolo ebbe si spazio nel suo Brescia, dove giocò solo 13 partite, ma restò emozionalmente imbrigliato dalla sapienza tattica del tecnico romano, il quale gli avrebbe insegnato nuovi dettami tattici nonostante un'esperienza già importante alle spalle. Per riconoscenza, dopo essere arrivato alla finale di Champions League da allenatore del Barcellona, il catalano lo invitò all'Olimpico per assistere al gran match. E siamo sicuri che oggi, quando scenderà in campo contro il Newcastle alla guida del City, Pep dedicherà almeno un paio di sguardi al cielo per salutare e ricordare a modo suo il buon Carletto.