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Storie di calciomercato, l'estate del 1999: l'uragano Shevchenko e il rimpianto Henry

Antonio Moschella
Storie di calciomercato, l'estate del 1999: l'uragano Shevchenko e il rimpianto Henry
Storie di calciomercato, l'estate del 1999: l'uragano Shevchenko e il rimpianto HenryProfimedia
Il bomber ucraino arrivò in Serie sconvolgendo il campionato italiano come un tornado, mentre l'attaccante francese stentò alla Juve dove non ebbero pazienza ad aspettarlo.

Tutti lo avevano visto sfrecciare al Camp Nou con la maglia della Dinamo Kiev, quando segnò una tripletta al Barcellona, fulminando avversari e spettatori.

Agli ordini del colonnello Valeri Lobanovsky, Andriy Shevchenko si era messo addosso la medaglia di attaccante più valoroso del piccolo esercito cosacco che era andato in giro per l’Europa a seminare terrore a suon di gol.

La scommessa di 50 miliardi di lire su di lui da parte del Milan fece tentennare un po’ tutti all’inizio, visto che all’epoca il campionato italiano era ancora in possesso del fuoco più sacro e quindi più difficile da spegnere.

L’ucraino, tuttavia, arrivò in Serie a come una pioggia battente, estinguendo subito il fuoco dei difensori italici. A modo suo. Ovvero con punte di velocità impressionanti e gol, come quello del debutto in casa del Lecce, che alla fine non valse la vittoria ma fece capire subito il suo valore da bomber.

A fine stagione Sheva fu capocannoniere del campionato con 24 reti, iniziando da quel momento una carriera che lo avrebbe visto vincere Scudetto, Pallone d’oro e Champions League con addosso la maglia rossonera. 

La Capitale si arricchisce

A Roma, dove le famiglie Sensi e Cragnotti vivevano anni di ambizioni appoggiate su solidi capitali - che poi nel futuro si riveleranno fragilissimi - c’era voglia di ritornare a dominare.

E le due squadre che avrebbero mantenuto lo Scudo nella Capitale per due anni di seguito (qualcosa di mai visto) stavano ponendo da tempo le basi per qualcosa di grande. 

In casa Lazio, dove la voglia di rivincita dopo che l’anno precedente la conquista del titolo nazionale era sfumata di un niente a due giornate dalla fine, non si badava a spese. E l’acquisto di Juan Sebastian Veron  per 60 miliardi fu un vero colpo di teatro da parte della proprietà biancoceleste, che avrebbe puntato tantissimo sull’argentino per migliorare un centrocampo già solidissimo di suo.

Alla fine della fiera, la vittoria dello Scudetto all’ultima giornata dopo lo storico e polemico diluvio di Perugia, dove cadde la Juventus, avrebbe premiato questa spesa.

Alla Roma, invece, fu l’estate in cui a Francesco Totti fu accostato Vincenzo Montella, che veniva da tre ottime stagioni alla Sampdoria, tutte in doppia cifra. Il suo cartellino fu pagato ben 40 miliardi da Franco Sensi, che fu ripagato da ben 18 reti in 31 incontri nella sua prima annata.

Tuttavia, l’apporto principale del centravanti mancino sarebbe arrivato l’anno dopo con la vittoria dello Scudetto grazie a una ‘primavera’ a suon di gol fondamentali.

Henry, l'incompreso

Così come lo fu Roberto Carlos per l’Inter, Thierry Henry sarebbe stato il grande rimpianto della Juventus per molto tempo. O forse lo è ancora. L’attaccante francese, arrivato nel gennaio 1999 per 21 miliardi di lire per sostituire l’infortunato Alessandro Del Piero, non aveva convinto nei suoi cinque mesi italiani.

Schierato quasi da centrocampista sinistro da Carlo Ancelotti, non fu oggetto della stessa pazienza che a suo tempo fu riservata ai suoi compatrioti Michel Platini e Zinedine Zidane, che ci misero del tempo per ingranare.

Nell’estate del 1999, dunque, dopo varie incomprensioni con Luciano Moggi, che secondo lo stesso Henry avrebbe avuto notevoli mancanze di rispetto nei suoi confronti, Henry fu venduto all’Arsenal per soli 10 milioni di sterline.

Una minusvalenza economica importante ma, soprattutto, un regalo ai Gunners, dove il francese sarebbe diventato leggenda in pochi anni vincendo due titoli nazionali da gran goleador e diventando uno dei migliori giocatori del pianeta.