OPINIONE - Ecco perché Motta è un fenomeno e farà bene a tutto il movimento italiano
Quando sono state annunciate le formazioni di Juventus-Como tifosi e addetti ai lavori hanno avuto un sussulto: "Mbangula titolare?". "Chi è costui", si chiedevano riferendosi come a un novello Carneade. Anche se il giovane si era già messo in evidenza nelle amichevoli estive, il campionato è altra cosa. Cosa per veterani, per gente con il pelo sullo stomaco, che poco importa se entra e esce dal JMedical come se fosse al bar o se le tante primavere sulle spalle ne placano l'animosità, ne frenano il guizzo. Questa almeno era la filosofia imperante fino allo scorso anno alla Continassa, ma possiamo dire che lo sia ancora nella stragrande maggioranza delle piazze calcistiche.
La "Thiagocrazia"
Non è però la filosofia di Thiago Motta e di quella che è stata ribattezzata la sua "Thiagocrazia", una vera e propria rivoluzione: gerarchie annullate, nessuno sicuro del posto se non se lo guadagna in allenamento, gioca chi è utile alla squadra e al suo gioco. Il tecnico italo-brasiliano che si è formato nelle giovanili del PSG non guarda in faccia a nessuno: Nzola, Arnautovic, Chiesa. Dallo Spezia alla Juve ha detronizzato le primedonne, sacrificate in nome della sua idea di calcio: "I giovani forti se sono forti lo sono indipendentemente dall'età", ha detto ieri, dopo che il titolare debuttante Nicolò Savona è andato in gol contro il Verona, così com'era successo proprio a Mbangula nella prima giornata. Il ragazzo belga che anche ieri ha dimostrato con un assist e con l'azione che ha regalato il rigore alla Juve che la prima partita non era un fuoco di paglia.
Largo ai giovani, anzi largo a chi se lo merita secondo lui, indipendentemente dal nome. Ne sa qualcosa anche il capitano Danilo, che anche se non al meglio non sembra più avere il posto sicuro in squadra come succedeva con Allegri. Hanno subito la "Thiagocrazia" nomi roboanti come Wojciech Szczęsny, il già citato Federico Chiesa, lo stesso Adrien Rabiot per cui Motta non si è speso più di tanto per una sua riconferma. Senza contare la pletora di esuberi che ha creato, rivoltando la rosa come un calzino con sette titolari nuovi grazie alla sapiente arte di Cristiano Giuntoli, direttore plenipotenziario che con Motta ha dato via a una vera e propria rivoluzione. Una rivoluzione che ora fa sognare i tifosi bianconeri dato che la squadra vista finora verrà rinforzata da nomi come Nico Gonzalez, Francisco Conceicao, Teun Koopmeiners.
La creazione del gruppo
Ancora prima del gioco, l'abilità di Thiago Motta è stata quella di creare il suo gruppo facendo veramente sentire tutti importanti. Non a parole come amano fare gli allenatori, ma con i fatti. Ognuno sa che può aspirare a un posto di titolare con il lavoro (e grazie alle qualità), indipendentemente dalla gerarchia o dal valore di mercato. Ecco perché non solo un Savona può prendersi il posto di Danilo, ma anche un Fagioli può aspirare a quello di Douglas Luiz, nonostante i 50 milioni di euro che è costato il brasiliano, anche se il suo poco utilizzo è dovuto al recupero dalle fatiche di Copa America.
La "Thiagocrazia" la spiega meglio Juan Cabal, altro "Carneade" prelevato dal Verona che si è guadagnato il posto da titolare, nelle sue parole alla fine della partita contro il Verona: "Il segreto di questa squadra è che tutti corriamo dentro il campo, siamo una famiglia e chi sbaglia non si rimprovera, andiamo tutti"(..) È la fiducia che il mister vuole dare a tutti i giocatori, sia a chi ha esperienza e a chi non ne ha, questo è importante per me, che sono arrivati adesso, e per i giocatori giovani della Next Gen. Questo è importante".
La filosofia di gioco e il famoso 2-7-2
Possesso palla, pressing e aggressività nel recupero palla, attacco continuo. È questa ridotta al minimo la filosofia base di gioco del tecnico, e da questo si capisce anche perché ha voluto rivoluzionare il centrocampo della Juventus, non adatto in precedenza al tipo di gioco.
A un livello più tattico, la rivoluzione di Motta è ancora più profonda, già a cominciare dal modo in cui viene concepita la formazione. Ha suscitato dubbi, e la solita ilarità da chi non è abituato alle rivoluzioni, il famoso 2-7-2, che in realtà non è tale (anche perché con il portiere sarebbero 12 uomini). Abituati ai soliti moduli 4-4-2, 4-3-3, 3-4-3, 3-5-2 la sparata di Motta poteva sembrare assurda se non si capisce come il tecnico osserva il campo e arriva a questo. Invece del solito modo di guardare una formazione in orizzontale, infatti l'allenatore della Juventus divide il campo in tre corsie verticali.
Motta spiega così il suo gioco in un'intervista alla Gazzetta dello Sport: "La mia idea è di giocare in modo offensivo. Una squadra corta che controlla il gioco, alta pressione e tanto movimento con e senza palla. Voglio che il giocatore che ha palla abbia sempre tre o quattro soluzioni e due compagni di squadra vicini (i famosi "sette" in mezzo al campo n.d.r) per aiutare. Non mi piacciono i numeri del campo perché ti ingannano. Puoi essere super offensivo con un 5-3-2 e difensivo con un 4-3-3. Dipende dalla qualità dei ragazzi. Ho avuto una partita un po' di tempo fa in cui i due terzini hanno finito per giocare come 9 e 10."
Sebbene sembri un 4-2-3-1 il centrocampista difensivo a volte si posiziona tra i due difensori centrali lasciando i terzini spingere in avanti e le ali scambiarsi con i centrocampisti centrali. Questo dà vita a triangoli su entrambi i lati del campo che fanno avanzare il gioco. Nelle squadre di Motta è fondamentale anche il portiere, ecco perché è stato fatto fuori l'ottimo Szczęsny (al di là dell'esoso stipendio) per far posto all'ex portiere del Monza Di Gregorio: per l'abilità diversa con la palla tra i piedi. Per Motta ogni giocatore diventa un'opzione di passaggio, anche il portiere.
Se nelle sue squadre, tra i quattro dietro uno si sgancia sempre in avanti a centrocampo lasciandone tre, nella vittoria per 3-0 contro il Verona entrambi i centrali Gatti e Bremer si sono spinti in avanti, rischiando contropiedi nel caso di una palla intercettata ma favorendo la pressione sulla squadra avversaria e dando un'altra opzione di passaggio ai centrocampisti.
Una novità salutare per tutto il movimento italiano e non solo
Thiago Motta potrebbe essere il Next Guardiola per il suo modo innnovativo di concepire il calcio, anche più di Xabi Alonso, ma per l'Italia potrebbe rappresentare un salvifico Next Sacchi per la sua possibile influenza sugli altri allenatori. È chiaro infatti che se Thiago Motta avrà successo con il suo gioco, gli altri dovranno adeguarsi, un po' com'è stato ai tempi del "mago di Fusignano" con la sua difesa alta e il gioco offensivo che ha portato tutti a spingersi più in là, evitando il pareggino utile in trasferta e cercando sempre la vittoria.
Solo il tempo dirà se le idee di Thiago Motta avranno successo, ma per quello che sta facendo vedere può essere già di esempio per molti. A cominciare proprio dalla sua "Thiagocrazia", che cancella gerarchie e raccomandazioni, male italiano non soltanto calcistico, per dar luogo a un vero sistema meritocratico. Un modo per dar fiducia ai giovani che possono veramente ambire a un posto senza passare anni a fare gavetta in panchina aspettando lo scampolo di partita concesso come il biscottino al cagnolino ubbidiente. Una filosofia spregiudicata ma giusta che, vista la penuria di talenti in Nazionale, sarebbe salutare se non addirittura salvifica se applicata dal resto del movimento. Indipendentemente dai successi che avrà o non avrà, Thiago Motta ha tracciato una via, ponendosi come un fenomeno, cioè un tecnico non comune, in un calcio stantio e logoro come quello italiano. E molti potranno trarne insegnamento.