La scalata di Cesc Fabregas a Como, da buen retiro a fucina di una grande impresa
Senza patentino, ma con tanto carisma. Il Cesc Fabregas che ha guidato il Como a una promozione diretta in Serie A è un uomo di 37 anni nel pieno della maturità sportiva. Talento precoce col pallone tra i piedi, come dimostrato quando ancora minorenne aveva ottenuto un posto nel centrocampo d'élite dell'Arsenal made in Arsene Wenger, il catalano è adesso diventato un tecnico con già una promozione alle spalle. Seppur non ufficialmente come prima guida, è stato lui a trascinare la squadra lariana in A.
Arrivato sul lago l'anno scorso in quella che per molti era sembrata più che altro un'operazione di relax prima di abbandonare il calcio giocato, il centrocampista formatosi nel Barcellona e campione di tutto con la nazionale spagnola, ha invece trovato il suo buen retiro. E da qui è partito per fare una piccola rivoluzione, con una proprietà piuttosto ricca che gli ha dato carta bianca e ha così favorito il suo exploit, consacratosi ieri.
Uomo di mondo
Poliglotta, come ha dimostrato anche nella velocità con la quale ha imparato la lingua italiana, Cesc è un uomo di mondo da sempre. Oltre vent'anni fa, infatti, aveva deciso di lasciare le dorate coste del Mediterraneo catalano per cercare gloria nella grigia e fredda Londra. Il richiamo del gioco spumeggiante dell'Arsenal fu per lui irresistibile quando, a 16 anni, consapevole del poco spazio che aveva nella linea mediana di un Barcellona dove Thiago Motta, Xavi Hernandez e Andrés Iniesta erano i giovani rampanti, decise di emigrare verso Londra.
In realtà, l'Italia si era già intromessa nel suo destino, con l'Inter interessata a ingaggiarlo. Ma il richiamo dei Gunners di azzardata concezione fu troppo forte per lui, che si integrò quasi da subito. Capitano dell'Arsenal a soli 21 anni, avrebbe poi intrapreso una carriera strepitosa da centrocampista centrale, dando prova di grande naturalezza nell'alternarsi tra il compito di regista classico alla spagnola e box to box all'inglese. Una condizione che lo ha poi reso un elemento importante nel Barcelloa di Pep Guardiola, che lo richiamò a casa nel 2011, e in quella Spagna con la quale ha vinto un Mondiale e due Europei, il secondo giocando praticamente da falso nueve.
Tutti a Ibiza
Un percorso variegato, quello di Cesc, che ha amato il dinamismo della Premier, dove è tornato a essere protagonista con il Chelsea dove è stato allenato da José Mourinho e Antonio Conte, dai quali ha dunque iniziato a imparare quali fossero le esigenze del calcio italiano. La sua tappa al Monaco gli ha dato quel tocco finale per colmare definitivamente il vaso della maturazione culturale, per poi approdare a Como, dove ha messo le basi per la sua conclusiva trasformazione in allenatore.
Il suo discorso a fine partita col Cosenza, dopo la quale i lariani hanno conquistato matematicamente la promozione in Serie A, è stato quello di un allenatore giovane ma già scafato. Di un compagno tra i compagni. Di uno che ancora non ha smesso di giocare nella sua testa. Di un catalano trapiantato ufficialmente al confine tra Svizzera e Lombardia. E di un tecnico che dopo aver annunciato gli orari dell'allenamento ha confermato che porterà tutta la sua squadra a sua spese in quel di Ibiza. Una perla del Mediterraneo di uno che ha girato il mondo ma che non perde la sua essenza.