Il Parma è tornato: storia e futuro di una delle squadre italiane più vincenti in Europa
"Godetevela". Con queste parole, Fabio Pecchia ha esortato, la scorsa primavera, i suoi calciatori a festeggiare come si deve la promozione in Serie A del Parma, arrivata dopo tre anni passati, tra alti e bassi, nel purgatorio della Serie B.
Un salto di categoria conquistato dominando dall'inizio alla fine il campionato cadetto chiuso, per la prima volta nella sua storia, al primo posto.
Una promozione dal sapore speciale, perché era dai tempi del crac Parmalat che il club emiliano non tornava nella massima serie con la consapevolezza di avere alle spalle una proprietà solida con un progetto a lunga scadenza e che, stagione dopo stagione, sta dimostrando di voler davvero riportare i gialloblu in alto.
Prova ne sia l'acquisizione di pochi giorni fa di tutte le quote appartenenti a 'Nuovo Inizio', il gruppo di imprenditori che nel 2015 si unì ai tifosi per rifondare la società e darle un futuro. Questo vuol dire che, ora, la famiglia Krause possiede il 99% del club mentre il restante 1% è sempre saldamente in mano all'azionarato popolare anche se di fatto era e rimane una quota simbolica.
"Oggi portiamo a compimento un percorso iniziato con Nuovo Inizio - ha dichiarato il presidente Kyle Krause - . Questo segna un momento importante, che conferma la nostra passione e il nostro impegno nei confronti del club, dei giocatori e dello staff, così come dei nostri tifosi e della comunità di Parma. Siamo orgogliosi degli oltre 110 anni di storia del Parma Calcio e determinati a condurla in un luminoso futuro. I nostri piani sono ambiziosi e insieme stiamo costruendo un futuro solido per il Club".
Le origini del mito
La famiglia Krause ha vissuto in prima persona soltanto gli ultimi quattro dei 110 anni di storia della società emiliana. Un club che, per incredibile che possa sembrare, fino al 1990 non era mai stato in Serie A. Una promozione, quella celebrata pochi giorni prima dell'inizio del Mondiale di Italia '90, ottenuta dall'allora sconosciuto Nevio Scala, un giovane e promettente allenatore scelto da Ernesto Ceresini, lo stesso presidente che qualche anno prima aveva lanciato un certo Arrigo Sacchi e scommesso anche su Zdenek Zeman.
Ceresini, però, morì improvvisamente nel bel mezzo della stagione e, quindi, non riuscì a godersi i risultati del proprio lavoro lasciando orfano una società che, pochi mesi dopo, finì nelle mani della famiglia Tanzi, proprietaria del marchio Parmalat che già da qualche tempo era lo sponsor principale della società.
Ebbene quello che è successo dal 1990 al 2002 può, senza dubbio, considerarsi come la più grande e mitica irruzione di un club nell'universo Serie A: due Coppe Uefa (1995 e 1999), una Coppa delle Coppe (vinta nel 1993 oltre alla finale persa l'anno dopo), una Supercoppa europea (1993), tre Coppe Italia (1992, 1999 e 2002) e una Supercoppa italiana (1999). È mancato, di fatto, soltanto lo scudetto (sfiorato nel 1997 con Carlo Ancelotti in panchina), ma questo non toglie che in quegli anni, chi volesse vincere il titolo di campione d'Italia dovesse fare i conti anche con il Parma. Prova ne sia la lunga lista di fuoriclasse passati dallo stadio Tardini.
Collezione di fenomeni
Da Claudio Taffarel a Tomas Brolin, Faustino Asprilla, Gianfranco Zola, Fernando Couto, Gigi Buffon, Fabio Cannavaro, Lilian Thuram, Hernan Crespo, Enrico Chiesa, Juán Sebastian Veron e naturalmente il Pallone d'Oro Hristo Stoichkov, rimasto solo un anno a Parma (95-96), dove non visse di certo la sua miglior stagione. Tuttavia, il fatto stesso che uno del suo calibro avesse deciso di lasciare il Barcellona per trasferirsi in una società emiliana della quale, fino pochi anni prima, non conosceva nemmeno l'esistenza fa capire le dimensioni del fenomeno Parma negli anni '90.
Basti pensare che grazie ai trionfi ottenuti in quel decennio, il Parma è ancora oggi il quarto club italiano (e sedicesimo europeo) ad aver vinto più titoli continentali, superato soltanto dalle tre regine della Serie A: Milan, Juventus e Inter. Ed è anche una delle cinque squadre, raggiunta la scorsa primavera dall'Atalanta, ad avere in bacheca almeno una coppa europea senza aver mai vinto il proprio campionto nazionale.
Dai fallimenti...
L'ultimo record stabilito dai gialloblu risale a pochi anni fa: il Parma è riuscito a passare dalla Serie D alla A in appena tre anni (2015-2018), un'impresa inedita nel calcio italiano.
Ma che ci faceva il parma in Serie D? Ebbene, sfortunatamente per loro (e per tutto il calcio italiano), quello della Parmalat non è l'unico fallimento che i tifosi ducali hanno vissuto sulla propria pelle. Ricordiamo che nei primi anni Duemila, i Tanzi furono travolti da uno dei più grandi scandali della storia recente italiana. Non a caso, il 25 giugno del 2004 nacque il Parma Football Club SpA a cui vennero trasferiti tutti i diritti dell'insolvente Parma Associazione Calcio.
La nuova società, però, durò appena 11 anni: nel marzo del 2015 arrivò, infatti, il "secondo" fallimento. Ed è proprio in quel momento che il gruppo di imprenditori 'Nuovo Inizio' decise di fare un passo avanti assieme ai tifosi ripartendo appunto dalla Serie D e dando al club, un anno dopo, la sua attuale denominazione ufficiale: Parma Calcio 1913.
...al nuovo inizio
Il resto è storia recente, ma la verità è che a Parma si sono stancati di parlare sempre al passato. I tifosi guardano avanti e la famiglia Krause pure. Per il momento, l'intenzione è di puntare, giustamente, sui giovani come dimostrano le scommesse fatte su Adrián Bernabé, Ange-Yoan Bonny, Adrian Benedyczak, Simon Sohm, Alessandro Circati e Mandela Keita.
Ed è proprio questa la buona notizia: la società ha deciso di costruire dal basso, senza gettare fumo negli occhi dei tifosi con nomi altisonanti troppo cari per le casse del club o vacche sacre oramai sul viale del tramonto. L'obiettivo è quello di fare un passo per volta e trasformare la meteora Parma in uno dei pianeti più importanti (e sostenibili) dell'universo Serie A.
Il primo passo
Il primo passo in questa direzione, dev'essere quello di evitare voli pindarici e fare i conti con la realtà. Per prima cosa, infatti, c'è da superare lo scoglio più difficile per una neopromossa, ovvero, quello di riuscire a conquistare la salvezza, conditio sine qua non per dare continuità al progetto della famiglia Krauser.
Nelle prime sette giornate di campionato, però, la squadra di Pecchia ha racimolato appena sei punti, dimostrando di avere ancora diversi limiti, soprattutto dal punto di vista mentale come dimostrano le ultime sconfitte rimediate in casa contro l'Udinese e il Cagliari.
E già, perché contro i friulani, i gialloblu non sono stati in grado di difendere i due gol di vantaggio con i quali erano rientrati negli spogliatoi per l'intervallo. Altrettanto frustrante il passo falso rimediato contro i sardi: tra il gol di Hernani del 2-2 e quello di Piccoli del definitivo 3-2 (entrambi all 87') sono, infatti, passati pochi secondi, segnale evidente di come la squadra abbia ancora bisogno di acquisire quel pizzico di esperienza necessario a gestire le partite nei momenti più caldi e decisivi.
Ed è per questa ragione che la sfida di sabato prossimo contro il Como diventa importante non solo per una mera questione di classifica, ma anche per risollevare il morale di una squadra che non riesce a vincere dallo scorso 24 agosto, quando a cadere al Tardini fu il Milan che, in quel momento, stava attraversando il suo peggior momento. No, non è una finale, a ottobre non potrebbe esserlo. Ciononostante, è arrivato il momento di dare una sterzata alla stagione di un club stanco di fare la comparsa perché ha voglia di recuperare il proprio status di protagonista.