Euro 2024, da Wembley a Dortmund: l'Italia campione d'Europa riparte dalla Germania
L'11 giugno 2021, dopo un anno di attesa, l'Italia debuttava a Roma nel primo - e speriamo ultimo - Europeo itinerante della storia. La finale era stata fissata un mese esatto più tardi e, quella sera, l'Olimpico tornò a essere quello delle notti magiche.
L'atmosfera propizia aiutò i ragazzi di Roberto Mancini a cominciare il torneo nel migliore dei modi, battendo 3-0 la Turchia e dando il la alla cavalcata trionfale culminata 30 giorni più tardi a Wembley, quando le ambizioni dei padroni di casa inglesi andarono a sbattere contro i guantoni di Gigio Donnarumma.
It's coming Rome
Fu così che lo slogan dei tifosi inglesi, "It's coming home", diventò, contro tutti i pronostici, un più colorito "It's coming Rome" mentre Giorgio Chiellini e Leonardo Bonucci, risposero a modo loro agli sfottò, continuando a mangiare la pastasciutta.
Quel trionfo convinse un po' tutti i tifosi azzurri che la traversata del deserto fosse finalmente finita per una nazionale che, quasi quattro anni prima, aveva clamorosamente fallito l'appuntamento mondiale perdendo il proprio playoff qualificazione contro la Svezia (1-0; 0-0).
La rivincita del Mancio
Gian Piero Ventura fu licenziato in tronco e al suo posto fu scelto il Mancio uno che da calciatore, nonostante le sue doti indiscutibili, non era mai riuscito a sfondare in nazionale.
La rivincita, il tecnico marchigiano se la sarebbe presa, appunto, in panchina, a Wembley, in compagnia del proprio gemello del gol, il compianto Gianluca Vialli, l'allora capo-delegazione della spedizione azzurra.
In realtà, l'Europeo 2020 si rivelò un'oasi, sicuramente gratificante, ma nulla più che un'oasi. E già, perché il deserto non era affatto finito e Mancini e i suoi ragazzi se ne sarebbero accorti il 24 marzo del 2022 quando - anche in questo caso contro tutti i pronostici - l'Italia campione d'Europa fu estromessa (0-1) dalla Macedonia del Nord dal secondo Mondiale consecutivo.
La ricaduta
In quel momento, qualcosa si ruppe irrimediabilmente, ma né Mancini né la Figc ebbero la lucidità - e, forse, anche il coraggio - di capirlo. Alla sconfitta rimediata in malo modo nella Finalissima contro l'Argentina seguì un'altra final four di Nations League, la seconda consecutiva. E anche in questo caso, a fare fuori gli azzurri sarebbe stata la Spagna.
Nel frattempo, però, era cominciata la fase di qualificazione all'Europeo - che si disputerà a cavallo tra la primavera e l'estate di quest'anno in Germania - e l'Inghilterra si era vendicata degli azzurri battendoli a Napoli nel primo incontro del girone (1-2).
A complicare ulteriormente i piani della nazionale campione d'Europa in carica è arrivato, la scorsa estate il divorzio - tardivo - tra Mancini e la Federcalcio che si è ritrovata improvvisamente senza il proprio ct che, come molti calciatori, non è riuscito a resistere alle sirene arabe: "Dove non c’è fiducia, non c’è calcio, né vittoria e né futuro".
L'era Spalletti
Non tutti i mali vengono, però, per nuocere. E già, perché al suo posto è arrivato quel Luciano Spalletti che, pochi mesi prima, aveva conquistato alla grande il terzo scudetto della storia del Napoli giocando un gran bel calcio.
Sulla sua strada, nel giorno del proprio debutto da commissario tecnico, la Macedonia del Nord. Di nuovo. Bisognava vincere, ma era fondamentale non perdere. E, come spesso accade in questi casi, l'incontro finì con un pareggio.
Da allora, le sensazioni trasmesse dalla sua Italia sono andate in crescendo, ma ci sono due episodi degni di nota che devono mettere in guardia i tifosi azzurri sul livello reale della nazionale italiana. Il primo di nuovo a Wembley, lo scorso 17 ottobre, quando l'Italia pur non demeritando fu di nuovo sconfitta da un'Inghilterra oggettivamente superiore dal punto di vista tecnico.
La rinascita azzurra, però, avrebbe potuto interrompersi sul serio in Ucraina, un mese più tardi. All'Italia basta un pareggio per conquistare il pass per i prossimi campionati europei ed evitare i maledetti playoff. Finisce 0-0, ma solo perché né l'arbitro né il Var hanno avuto il coraggio di punire con un calcio di rigore il calcione di Cristante a Mudryk.
Correva il minuto 93 e, forse, Donnarumma sarebbe stato di nuovo provvidenziale. O, forse, no. Non lo sapremo mai.