Addio a Beckenbauer: l'avversario con il braccio al collo di Messico '70
Un'altra leggenda del calcio che se ne va. Poco più di un anno dopo Pelé e a tre giorni da Mario Zagallo che come lui e prima di lui diventò campione del mondo da calciatore e poi da tecnico, è morto Franz Beckenbauer.
Per gli italiani era l'avversario col braccio al collo all'Atzeca a Messico '70, per tutti era "Kaiser" Franz, l'imperatore del calcio, modello dell'eleganza applicata al pallone e prototipo del difensore moderno.
Farà parte per sempre dei grandissimi del calcio, non a caso la Fifa lo inserì nella lista dei migliori dieci giocatori del ventesimo secolo.
Ad illustrarne la grandezza basta riguardare il suo personale albo d'oro: 3 Coppe dei Campioni, Coppa Intercontinentale, Coppa delle Coppe, campionati e Coppe di Germania con la maglia del Bayern, titolo mondiale nel 1974 e titolo europeo due anni prima con la maglia bianca della Nazionale, Pallone d'Oro come miglior calciatore europeo in due occasioni (1972 e 1976, nella prima occasione interrompendo la tripletta dell'altro grandissimo di quegli anni, Johan Crujyff), campione del mondo nel 1990 anche come ct della nazionale.
Quella per la quale, da calciatore, aveva messo insieme 103 presenze di cui le ultime 59 consecutive.
Numeri che non ne definiscono in pieno la bravura. Beckenbauer era l'eleganza di palleggio, la coordinazione perfetta, il lancio d'esterno a trovare il compagno smarcato.
L'epica sfida contro l'Italia
Nato mediano, diventato libero, era giocatore moderno di un calcio antico che entrava nel futuro, tanto da far dire a molti che aveva reiventato il ruolo.
E con quell'aureola, ingaggiò epiche sfide con Johan Cruijff, del quale poi divenne amico, al punto da andare a sciare insieme a Kitzbuehel, in Bayern-Ajax, tre Coppe dei Campioni a testa per i due migliori club degli anni '70, o nella finale mondiale Germania-Olanda del 1974. Momenti di grande bellezza calcistica.
Ma del Kaiser rimane soprattutto l'immagine epica di lui in campo, a trascinare la Germania, con il braccio al collo nella semifinale poi persa 4-3 contro l'Italia ai Mondiali di Messico '70.
Una scena indimenticabile; quella nazionale dell'Ovest viveva anche sulle parate di Sepp Maier e i gol di "Der Bomber" Gerd Muller, ma era soprattutto Franz Beckenbauer. Il quale aveva fatto vedere di quale pasta fosse fatto già quattro anni prima, nel torneo iridato del 1966 in Inghilterra, quando aveva appena 20 anni ed era già uno dei leader della squadra tedesca, avendo mostrato eccezionali doti tecniche fino alla finale persa contro la nazionale di casa per una 'svista' del guardalinee sovietico Bakramov.
Ogni suo intervento era un misto di perfezione tecnica. "Sapeva fare tutto bene e quando farlo", come di lui disse Cruijff, e sui campetti di periferia, all'oratorio o per strada, c'era chi provava a imitarlo tentando perfino di disimpegnarsi con un braccio bloccato come lui all'Azteca. Ma nessuno ci riusciva, troppo difficili quei gesti e troppo arcigno e inelegante chi tentava di ripeterli.
Da mediano, forse il più tecnico della storia del calcio, venne spostato a libero da Helmut Schoen con la nazionale, per liberarlo da marcature da fare da subire, e fu l'apoteosi perché divenne l'ideale del ruolo, a detta anche di ogni suo avversario.
Dalla strada al Bayern Monaco
Al calcio, nella Germania malridotta del secondo dopoguerra, aveva cominciato a giocare per strada, con un palla fatta di stracci, e in tanti si accorsero subito della sua superiorità rispetto agli altri.
Gli bastò un provino, a 13 anni, per essere preso dal Bayern, dopo che aveva scartato l'idea di fare la stessa cosa con la squadra che allora primeggiava in Baviera, il Monaco 1860: in una partita fra squadre giovanili, Beckenbauer, che faceva parte di un altro team, il 1906, fu protagonista di una rissa con quelli del 1860, e ciò gli bastò per cancellare quella società per sempre.
Così anche quando divenne l'eterna bandiera del Bayern non rinunciò mai a quel sentimento di rivalità verso i cugini, nel frattempo sprofondati nelle serie minori.
Da calciatore divenne un divo anche delle pubblicità, uno dei primi campioni arricchitisi anche a suon di spot, e non poterono non accorgersi di lui anche coloro che del profitto hanno fatto la regola di vita, gli americani.
"C'era da lanciare il "Soccer", i New York Cosmos erano una sorta di Harlem Globetrotters del calcio, e Beckenbauer finì a fare il compagno di squadra di Pelé, all'altezza di O Rei e vincitore insieme a lui di campionati anche in America, dal 1977 al 1980.
L'avventura da allenatore
Ma la carriera il Kaiser volle finirla in patria, come aveva promesso a sé stesso, e chiuse con due annate nell'Amburgo. Poco dopo, vista la stima che avevano di lui, la federcalcio tedesca gli affidò la guida della nazionale, e lui la portò in finale ai Mondiali, di nuovo in Messico, ma questa volta nel 1986 anno del trionfo di Maradona.
Perse 3-2 per una prodezza del Pibe trasformato in gol da Burruchaga ma si rifece quattro anni dopo a Italia '90, a spese proprio dell'Argentina, con Maradona in lacrime.
Lasciata la panchina della nazionale nel 1993, dopo una breve parentesi come allenatore dell'Olympique Marsiglia, tornò al Bayern come vicepresidente, ma nel 1994 ne divenne allenatore e vinse il campionato.
Poi ne fu il presidente coronando un altro sogno. Ultimo atto prima di entrare definitivamente nell'Olimpo del calcio, con Pelé, Maradona, Zagallo.